Pastiglie freni   

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Claudio Braglia

Giornalista specializzato automotive

Frequentava ancora la facoltà di ingegneria quando ha iniziato la sua carriera giornalistica a Motosprint e Autosprint. Successivamente sono arrivate InMoto, Auto, SuperWHEELS, Moto World e alVolante, alcune delle quali ha anche concepito e diretto. La sua passione? Guidare soprattutto in pista e realizzare le prove più complete supportate da rigorosi rilevamenti strumentali.

Un tempo, in gergo comune, venivano chiamate “ferodi”, dal nome del produttore più famoso di materiale d’attrito: la Ferodo (azienda inglese fondata nel 1897, che fornisce anche i rivestimenti per le ganasce dei freni a tamburo). Chiamate anche “pattini” o “pasticche”, le pastiglie (di solito sono almeno due, in coppia), rappresentano un componente fondamentale dell’impianto frenante.

Inserite in appositi alloggiamenti nelle pinze, sono composte da una base metallica sulla quale viene applicato un adeguato strato di materiale d’attrito: spinte da pistoncini idraulici, serrano le due facce del disco generando una frizione che fa decelerare il veicolo, con una forza frenante proporzionale a quella esercitata sul pedale.

Una resa diversa a seconda della “mescola”

Realizzate con una vasta gamma di materiali, a seconda delle proprietà e della composizione le pastiglie frenanti hanno rendimenti diversi. Da segnalare che fin dai lontani anni 70 sono stati banditi i materiali oggettivamente dannosi per la salute, come l’asbesto (più noto come amianto) e che dal 2025 è stata fortemente ridotta la presenza di rame. Ecco le mescole più diffuse.

Le pastiglie semi-metalliche hanno almeno il 60% di metalli e il restante 40 di materiali organici, mentre le cosiddette organiche hanno un contenuto di metalli inferiore al 15%, ma sono morbide e durano poco se si guida con piglio sportivo. Le raffinate pasticche con mescola ceramica sono, invece, totalmente prive di metalli, dunque sono l’ideale per le vetture di elevate prestazioni. Infine, ci sono anche quelle sinterizzate, realizzate con un mix di polveri metalliche agglomerate a elevate temperatura e pressione: garantiscono elevate prestazioni e durata, ma contengono anche un po’ di rame.

Va scelta quella giusta in funzione di come si utilizza l’auto

Dunque, a seconda delle proprietà e della mescola del materiale d’attrito, i “divoratori di curve” soprattutto nei saliscendi di montagna, dovrebbero scegliere Pastiglie capaci di garantire le migliori prestazioni deceleranti anche a temperature superiori agli 800 °C (fra l’altro, le mescole sportive danno il meglio con temperature di esercizio sempre superiori ai 100 °C).

Se, invece, usiamo l’auto per diporto, per il tragitto casa-lavoro e per le commissioni in città, possiamo tranquillamente scegliere pastiglie più economiche, in grado di reggere fino a temperature dell’ordine dei 350 °C, dalle quali, però, è lecito pretendere il massimo della durata.

Tanta attenzione all’usura

Per quanto riguarda la manutenzione, va detto che non tutti gli automobilisti sono diligenti nel controllare lo stato delle pastiglie (anche perché spesso non è propriamente agevole). Tuttavia, per garantire la sicurezza, vanno ispezionate con una certa frequenza: se non sono in buono stato la frenata peggiora parecchio, senza contare che, quando arrivano a superare i limiti di usura, è il loro supporto in ferro che va ad agire direttamente sulle facce del disco, danneggiando, talvolta irreparabilmente, le piste frenanti.

Anche per questo le pastiglie vanno sostituite nei tempi giusti: indicativamente ogni 30-35.000 chilometri (i prezzi per coppia variano da 15 a circa 50 euro). Quelle più recenti sono dotate di soluzioni che fanno capire quando sia necessario cambiarle: dagli intagli nello strato di materiale d’attrito, al “segnalatore acustico” che, quando l’usura è eccessiva, genera un rumore fastidioso, per arrivare a un contatto elettrico che, quando resta scoperto e arriva a contatto col disco freno, fa accendere una spia di avvertimento nel cruscotto.